Un nostro amico di Milano ci ha scritto questo dopo la caritativa a Garibaldi:

«Volevo condividere con te questi pensieri che mentre tornavo in metro mi frullavano in testa.

Mi ha colpito molto quel signore lì (mi pare Alberto si chiami, ma con i nomi sono una frana). Mi colpisce la semplicità di rapporto, come entra così facilmente in contatto con la miseria, come la tocca fisicamente, senza forzatura, senza ribrezzo, con naturalezza. Una mano sulla spalla, un abbraccio a quel puzzo di barbone e alcool. Lui non si cura di questo, è una conversazione naturale, come se fossero padre e figlio, come se si conoscessero da tempo. Una battuta, una pacca sulla spalla. Un gesto così naturale che sembra mancare il pensiero: è pura natura.

Io che mi arrovello e pesco nozioni nella mia mente: non può smettere di bere quel ragazzo, non funziona così la cura della dipendenza da alcool. Lui se lo spupazza tutto, tocca braccio, la faccia, le spalle, quasi che siano un tutt’uno. Chiaro, ha un’indole naturale al tocco, non mi sognerei di toccare un altro corpo di qualsiasi persona, ci vuole un permesso. Lui il calore lo passa così, con la fisicità.

Magari non smetterà di bere, ma in quel momento c’è amore puro, senza trucco e senza inganno. Il mio sguardo è calamitato da quella potenza della natura: l’amore fraterno. È un pugno nello stomaco; è ciò che non sento di riuscire a fare nel mio lavoro; mi rendo conto che abbiamo due ruoli diversi di fronte alla sofferenza, due responsabilità diverse. Ho bisogno di tornare alla basicità, alla naturalezza, alla carne, a qualcosa che ti parla da viscere a viscere»» (Tommi, 26.8.2022).