«Uno stupore che mi ha fatto riconfermare a cosa e con chi voglio unire nel cammino della vita». La lettera di Tommy dopo la festa di Bocatas

C’è in me una lotta continua, che da tempo mi perseguita in maniera davvero forte e drammatica, che è quella, da un lato, il provare sfiducia e scetticismo nell’andare a fondo nei rapporti di amicizia che uno si trova nel percorso della vita, per il fatto che mi chiedo sempre se, dopo un po’, quando questo rapporto abbia potuto “marcire” o dimenticare questa amicizia, ne sarà valsa la pena o se, al contrario, il dolore di rompere risulta più costoso e doloroso, e d’altra parte, il desiderio che ho sempre avuto di trovare persone davanti a cui poter dire: “Sì, con te so che la vita crescerà e non “C’è bisogno di chiedersi cosa accadrà dopo, ti tradirò? Mi tradirai? Ti renderai conto che sono un miserabile? Mi renderò conto di esserlo?”

Ebbene, da un paio d’anni accade in me qualcosa di veramente rivoluzionario e di trasformazione: ho scoperto una compagnia e un luogo dove queste domande che mi pongo continuamente sulla paura che mi scuote mentre guardo al futuro con le persone che Voglio nel presente non mi passano nemmeno per la mente, perché uno sguardo nuovo e una gioia sostenuta mi invadono attraverso questo, ed è Bocatas, un gruppo infinito di amici in cui ci sono tutti i tipi di persone; come abbiamo detto più volte, un “circo” dove non sai mai cosa troverai, ma un formidabile “circo”.

Mi soffermerò, essendo la più recente, sulla festa che si è tenuta ieri nella Parrocchia di Santa María de la Esperanza, ad Alcobendas, per inaugurare l’estate con Bocatas. Era una festa a tutti gli effetti —con birre, drink misti, hamburger, cibo e tanta musica che incoraggiava a ballare—, ma lì si poteva percepire qualcos’altro, ed era il gesto di gratitudine e di vera gioia che si vedeva nei volti concreti delle persone che erano lì. Farò diversi esempi.

Quando sono arrivato, Chules era seduto sotto il gazebo di Bocatas con un uomo (di cui non ricordo il nome) che stava dando una testimonianza della sua vita, tremenda e turbolenta, ed è quello che è successo. Questi, ad ogni frase che gli usciva di bocca, ti sorprendeva perché continuava a farti immaginare momenti davvero surreali: camello (chi vende eroina) a Malasaña, tossicodipendente, innamorato di una svedese, viaggio in Svezia, galera, viaggi persone disastrose e avventurose a Panama a piedi… Tutto davvero incredibile, ma più sorprendente è stato vedere come ci fosse un ascolto attento, sveglio del dramma umano, un fascino per l’avventura concreta della vita di un uomo che non aveva nulla a che fare con le nostre circostanze individuali.

Dopo questo, ogni gruppo di amici o famiglie è andato alla cucina per prendere la cena e consumarla lì, in attesa del concerto che la band ospite ci ha regalato suonando grandi canzoni che tutti conoscevamo. Durante il concerto c’è stato qualcosa che mi ha dato l’impulso di dire a me stesso: «ma come sono finito qui, con questa gente, con questa gioia?». Ciò che mi ha spinto a pensare a questo è stata la vitalità e l’energia di Nachito quando si è alzato per cantare, lasciando le sue corde vocali, la versione bocatera di Feo, Fuerte y Formal (“E come Chules, brutto, forte e formale”). Potevi vedere l’emozione con cui stava vivendo quel momento, per la forza che trasmetteva, dove potevi vedere la gratitudine che mostrava alla vita. Che cosa hanno trovato queste persone così vive, così sicure che il bene abbia l’ultima parola?

Qualcosa mi fa pensare quanto avesse ragione Gesù quando, giunto in Galilea, disse che non era venuto a portare la pace, ma la guerra (Mt 10,34-36), ma non la guerra di trincea e i bombardamenti, ma il bombardamento dell’uomo in sé stesso , un rinnovamento di sé che si riflette nel rapporto con l’altro, un impulso di gioia tremenda catturato dall’amore della comunità cristiana affidataria, un dire sì all’altro perché sei amato quanto me.

Ieri è stata una giornata nella quale, pur essendo fisicamente esausto per l’attività della giornata, e quindi dovendo tornare a letto stremato, è successo l’esatto contrario: ero seduto sull’autobus di ritorno con una gioia e una vitalità che hanno superato i miei sogni, ogni mia puntuale circostanza ; con uno stupore che raramente ho sperimentato e che mi ha fatto riconfermare a cosa e con chi voglio unire nel cammino della vita. Sono sicuro che ciò che ho incontrato gratuitamente e inaspettatamente non è venuto a portarmi la pace, ma la guerra, e questa guerra che mi fa venire voglia di unirmi a loro non si ferma, perché la strada continua. E spero che non finisca mai, perché non smetto mai di imparare, di osare vivere, come diceva Albert Camus:

«Ma è male fermarsi, difficile contentarsi di un solo modo di vedere, privarsi della contraddizione, che è forse la piú sottile di tutte le forze dello spirito. Ciò che è stato detto, definisce soltanto una maniera di pensare. Ma si tratta di vivere.» (Albert Camus, Il mito di Sísifo, 1942).

Tommy, 7/3/2022