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Sono le ore 22 di un venerdì di gennaio a Porta Garibaldi. Gli ultimi esercizi commerciali stanno chiudendo e le poche persone presenti nella hall centrale della stazione, imbacuccate nei loro abiti invernali, stanno raggomitolate quasi a volersi riscaldare l’un l’altro, per difendersi da uno spiffero d’aria gelida che taglia in due lo spazio.

In questa notte meneghina c’è chi aspetta qualcuno che deve arrivare e c’è chi attende che il proprio treno, lentamente, si accomodi sul binario per poi ripartire verso casa dopo una giornata piena, fatta di impegni, di riunioni, di studio e di stress settimanale.
Ma non sono soli: la stazione è popolata anche da altri volti.

IMG-20170308-WA0000Florin, Lobomir, Adriano, Walter, Roberto, Franchino, Giovanni, Max, Luca, il “tedesco” e gli altri: la vita li ha portati qui, li ha parcheggiati qui, vivono intrappolati in un loop esistenziale che ricorda una versione perversa del film Truman Show. La stazione è ormai casa loro, per qualcuno da poco, per altri da anni, senza quasi l’opportunità, come invece accade a Jim Carrey nel film, di oltrepassare quel fondale di cartapesta per cercare di riprendersi una vita normale.
Quelli della hall, questi volti forse non li notano nemmeno, non forman parte del loro orizzonte visivo ma ci sono, esistono. Se anche li vedessero, hanno per loro solo uno sguardo rapido, superficiale, distaccato mentre frettolosamente passano oltre.

20170311_182447-01Rubén, Lele, Pecio e Duna, in stazione ci sono venuti per cercarli, portano del cibo preparato a casa.
Esplorando fra i binari ne avvicinano uno che, seduto, li osserva da un po’. Il primo incontro è con Florin, un ragazzo rumeno che da un po’ vive in Garibaldi. Dopo il primo scambio di parole, Florin si alza e va a chiamare gli altri. Comincia la distribuzione del cibo: panini al prosciutto e tortellini in brodo caldi per combattere il freddo di quella notte. Quel primo venerdì è cominciata la storia di un’amicizia con gli abitanti di quello strano condominio che è la stazione.

IMG-20170408-WA0002Dopo aver mangiato, si comincia a chiacchierare con loro, ci si presenta reciprocamente e con il passare dei minuti sono loro che cominciano a raccontare le proprie storie, le proprie vite.
I venerdì passano, i quattro dei tortellini tornano ogni settimana e ora Lobomir e compagnia han capito che con quei quattro ci si può stare anche non solo per il tempo di un panino.
Il numero di persone aumenta, sia da una parte che dall’altra.

Bocatas, che in spagnolo significa panini, è una caritativa che ha l’amicizia come elemento fondamentale, necessario e imprescindibile per l’incontro e l’accoglienza dell’altro, dove si riconosce che l’altro ha lo stesso mio cuore, traboccante degli stessi miei desideri, cioè che desidera ciò che anch’io desidero. È una caritativa dove il “fare qualcosa” è accessorio all'”esserci”: per questo motivo può risultare strana agli occhi di chi è arrivato da poco. Semplice nella modalità, ma dagli effetti sconvolgenti nella vita delle persone, questa è Bocatas.

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