La storia di un gruppo di amici che ha dato cibo e gloria a straccioni, pezze e croste d’uomo. «Tutti ci chiamano per aiutare qualcuno»
La maestà di stracci, pezze e croste d’uomo i bocateros la conoscono da quasi vent’anni, da quando nel 1996 Jesús de Alba, “Chules”, con gli amici Ignacio Rodriguez e Jorge Catalá, si avventurò nei sotterranei della via Azca armato del suo solo giovane nome e qualche panino arrotolato nella stagnola. Era di venerdì e Madrid era fredda, una farragine di derelitti allungava la mano verso piccoli fuochi che bruciavano nelle latte e alitava alcol. Ragazzi e barboni divennero subito amici, amici di quell’amicizia vorace di vita e libertà che solo i cani sciolti condividono e tali rimasero, crescendo in numero e occasioni per vedersi, finché qualcuno decise di chiudere il sottopasso. Fu allora che Jesùs vide un servizio su las Barranquillas ed eccolo, il venerdì successivo, aggirarsi con amici e panini tra gli spettri della baraccopoli della droga, tra l’umanità sdentata che andava, e andava e andava, ad arraffare la roba, a crepare di fame chimica, e poi dopo, quando trafficanti e spettri vennero trasferiti a Valdemingómez, lungo la Cañada Real, eccoli ancora montare il chioschetto nella roccaforte di zingari, immigrati, mafiosi e trafficanti d’armi, signori della droga, scaldare pasta e lenticchie su fornelli da campeggio, offrire budini a disperati, perdenti, pencolanti tutti da una parte sola, pregiudicati, straccioni, smerdati, affamati, tossicomani. Budini e un falò caldo che scioglieva il cuore in pianto e tenerezza e speranza quando Jesús e i suoi amici intonavano una semplice Ave Maria che qualcuno, mormorando, recitava con loro.
Si può riassumere in povere righe cosa sia Bocatas, cioè quel gruppo di amici che si calarono in un sotterraneo per aiutare il prete di una parrocchia (era un’iniziativa rivolta ai giovani, ogni gruppetto aveva un giorno assegnato ma gli unici a continuare erano stati loro) e finirono per diventare gli amici di chi, come Sandokan, Magdalena, Juli, uscirono dall’inferno dell’eroina, della cocaina, dei farmaci, della malavita, e di chi all’inferno ci vive ancora, prostitute, figli di capiclan, spacciatori che pure ogni venerdì all’arrivo dei bocateros imparano cos’è la vita piena, cos’è l’amore, cos’è un uomo libero e una passione per l’uomo? Ne abbiamo parlato troppo in fretta? Torneremo a raccontarvi di Bocatas, del lebbroso che ha bisogno del bacio del santo ma che non ne ha diritto, del bisogno di mordere il panino che diventa fame di Cristo, della carità che esige la giustizia ma la oltrepassa. Perché ora quelle cinquanta famiglie sfamate da Bocatas, cioè dagli amici di Jesús e amici, per la parrocchia San Jorge sono diventate 800, perché i poveracci sono diventati più di tremila, perché uno sciame virale sembra aver trivellato un’intera montagna e scodellato da ogni angolo di Madrid disperati, levato in grida strozzate ciò che pareva solo un fischio rauco nella capitale.
Jesús si è temporaneamente trasferito in parrocchia, «faccio quello che facevo prima, che non ho smesso di fare un solo venerdì dal 1996. Portare cibo e con esso amicizia a chi non ha niente, solo che oggi non siamo più tre amici ma 260 amici, le famiglie non sono più solo quelle di un quartiere ma centinaia che si rivolgono alla Caritas, devo svaligiare il banco alimentare, latte e olio sono diventati l’oro di Madrid e insieme al cibo devo portarmi dietro un amico architetto o ingegnere». “Chules” racconta a tempi.it che appena il virus ha aggredito e ammalato il paese si è studiato bene la legislazione spagnola, «la distribuzione di cibo rientrava nelle attività essenziali. Non ero sicuro di come la potesse prendere la polizia visti i numeri degli indigenti che avremmo dovuto raggiungere e di permessi da richiedere per i volontari, eppure, appena capito cosa stavamo facendo, ci hanno letteralmente spianato la strada per farci lavorare. Avete idea di quanto cibo movimentiamo per Madrid?».
AFFONDARE IN UN GARAGE
Bocatas non è un’associazione di volontari, Bocatas è caritativa, cioè un modo di vivere: «Non ci tiene insieme un volontarismo predeterminato ma una gratitudine per la vita e un’amicizia che porta con sé una delle sue modalità più potenti in questo dedicarsi agli altri», e l’amicizia è per statuto imprevedibile. Imprevedibile significa molto più che flessibile, è cambiare schema rapidamente e continuamente, «un attimo prima sei lì a porgere un panino, l’attimo dopo sei con i piedi che affondano nella pavimentazione umida e sconnessa di un garage senza finestre subaffittato a 15 persone, a porgere la pasta e a fissare la muffa sul controsoffitto. La volta dopo sei lì con un architetto». Non c’è nessun progetto che tenga, la realtà è portare da mangiare a gente che vive in tubi di cemento, tra flaconi di vernice e lamiere incrostate di ruggine e quella scatola di riso non basta, c’è chi chiede tutta la vita chiedendo una scatola di riso.
«Fare, forsennatamente dare nel confinamento per unire domanda e offerta, cioè cibo e bisogno: macchina di tre o quattro persone e via verso la famiglia a te affidata, per portare cibo, sì, ma anche capire di cosa ha bisogno per vivere, non sopravvivere: affitto, pannolini, lavoro? È una pasión por el hombre che ci ha mosso sempre verso gli uomini senza attesa di contropartita, lo yonki (tossico) non deve smettere di essere un yonki, lo zingaro che non deve smettere di essere un zingaro, e neanche io non devo mettere da parte la mia cattiveria, ognuno è lì davanti a me, come sono io e da amare per quello che è, a prescindere dal suo status e da quello che ha fatto. Oggi un gruppo di noi si occupa dei bisogni speciali dei piccolissimi, i bebè, latte, pannolini e via dicendo; un altro di procacciare occupazione per chi ha perso il lavoro; un altro di trovare camere in affitto o appartamenti per chi vive nella bruttura più totale, garage o tubi dello scolo… sapete come funziona, no?».
L’ESERCITO E L’OCCIDENTALE TRISTE
No, noi non lo sappiamo come è che a un certo punto, a Madrid, pubblico, privato, Caritas, esercito, poste, capitani d’industria e poveracci abbiano iniziato a mettersi al seguito di un gruppo di amici come i bocateros, ma tant’è, le cose hanno avuto inizio proprio così, «ciascuno di noi molla il pacco alimentare ma diventa inevitabilmente e in qualche modo responsabile della famiglia a cui lo ha consegnato. Voglio dire, qui si è coinvolta tantissima gente. C’è il marocchino che mi ha consegnato 5 euro e c’è il direttore finanziario di una grande catena alimentare che si è fatto carico di tre famiglie. Capisci? L’occidentale è più o meno uno che ha tutto ma che è al fondo triste perché vive ogni inizio e ogni fine centrato su se stesso, e poi c’è la gentaglia che non ha niente e ha bisogno di tutto, se li mettiamo in rapporto, chi ha bisogno di darsi e chi ha bisogno di qualcuno che si dia a lui, ci guadagnano entrambi, ci guadagnano la gioia».
“ABBIAMO TV, SOLDI, COME VI AIUTIAMO?”
Jesús non ha mai visto muoversi un virus, ma neanche pubblico, privato, civili, militari, atei e credenti andare d’improvviso tutti nella stessa direzione, una direzione semplicissima: aiutare l’altro. «Ma qui, a Madrid, è accaduto proprio questo. Abbiamo avuto tutti negli occhi l’esempio di medici e infermieri che ogni giorno si bardavano per aiutare i figli degli altri, i genitori degli altri, gli amici degli altri, cioè nostri, i nostri cari. Io credo che questa vertiginosa, paurosa grandezza dell’aiuto abbia guidato l’iniziale vacillare di ognuno a una riscossa». Al fagocitante impresario della malattia chiamato Covid il popolo ha risposto: gli innumerevoli servizi televisivi spagnoli dedicati a questi strani Bocatas hanno scatenato la città, «ci chiamavano dicendo “abbiamo un televisore per quella famiglia, abbiamo olio, abbiamo spazio, abbiamo qualche soldo, abbiamo disponibilità di tempo: cosa dobbiamo fare?”. Ora i militari armeggiano con i muletti, le poste, Correos, lo recapitano, vanno “avanti come fratelli” come dice il Papa, scaricano i pacchi di cibo perché il cibo è un bisogno elementare così come la gratuità che li ha spinti a chiamare Bocatas: “Di cosa avete bisogno? Noi ci siamo!”».
PIÙ CONTAGIOSI DEL VIRUS
Jesús non è mai stato in casa un solo secondo di lockdown, distribuiva panini, ora dispositivi per la didattica a distanza, cellulari, entra nella fabbrica abbandonata dove vivono in sei, ha lasciato loro cibo e lenzuola e gli abitanti nutriti hanno iniziato a pulire e rendere abitabile la devastazione. Il metodo Bocatas è più contagioso di un virus. Roberto Ferrario era giovane, giovanissimo, quando nel 2000 a Madrid si aggregò ai bocateros, raccoglieva le eccedenze di cibo da bar e ristoranti del quartiere e seguiva Jesùs nei sottopassi, lungo le tracce di carogne di gatti e topi, e puzza di urina ibernata, e ritrovava il calore dell’umanità sdentata e spogliata di tutto che gli chiedeva il pane, sì, ma soprattutto una compagnia.
“TOH IL PANINO”. MICA IL VANGELO
«Raccontavano mezze verità sempre, la verità tutta intera era che non avevano bisogno di assistenzialismo ma di qualcuno che condividesse la vita con loro. Li abbiamo portati al pub, in vacanza, su per le montagne, erano ingegneri, padri, umili lavoratori, era gente che aveva perso tutto», racconta Roberto a Tempi.it. «Toh, diceva Jesùs all’inizio ai drogati che arraffavano e scappavano ingordi di cibo, non raccontava loro il Vangelo». «Toh il panino», diceva Jesùs, e ora tossicodipendenti, ex tossicodipendenti riabilitati, machaca a guardia dei fortini della droga, minori di etnia gitana vanno a cena e in vacanza con gli universitari amici di Bocatas, ai matrimoni, ci sono uomini, ragazzi, ragazze e bambine a frotte, quanti ne vuoi, e «anche noi abbiamo imparato a metterci a nudo e non raccontare loro frottole. Ricordo ragazzi di 10, 11, 12 anni all’inizio scagliarci pietre addosso», racconta Roberto. «Ma quella pietra scagliata da carne viva e addolorata era solo il punto d’inizio. Quel lancio ha corso in lungo e in largo, fin qui: tornato in Brianza sono finito con tre amici a fare Bocatas a Garibaldi, binario 10».
DA MADRID A GARIBALDI, BINARIO 10
Era il 2017, era un venerdì sera e come in Spagna è rimasto un venerdì: «Eravamo in tre o quattro, ora siamo cinquanta, sessanta. Ci appostiamo fuori dalla stazione, tra san’Egidio, la Croce rossa. Ci siamo anche noi». Vent’anni dopo Madrid Roberto vive la Milano della pandemia, quella della caritativa azzoppata ma mai affossata, «abbiamo comprato delle tessere prepagate per la spesa, sbrigato i permessi per tornare ad essere non più solo una macchina che scarica cibo davanti a una stazione, siamo pronti a ripartire». Jesús chiama Roberto ed è un po’ quell’anno in cui dall’avventura di tre ragazzi immersi nei sobborghi di Madrid è stata data gloria alla carità e monumento a un’umanità cenciosa che tanto ci assomiglia: torneremo a parlare di Bocatas e di un mondo che in queste ore a Madrid sta girando attorno a un gruppo di amici che non danno scampo al bisogno.
Caterina Giojelli, Tempi (12 maggio 2020)