L’ONG Bocatas nacque 18 anni fa nei tunnel di Azca, vicino al Santiago Bernabeu, per iniziativa di tre amici che cominciarono con la distribuzione di panini e vestiti a indigenti e tossicodipendenti. Oggi, il progetto continua nella Cañada Real, dove il bisogno permane.
Come ogni venerdì, i membri di Bocatas si trovano intorno alle 20:30 nella parrocchia di San Tommaso Apostolo. L’atmosfera è accogliente; fra scherzi e dialoghi si stanno preparando per andare verso Valdemingómez, luogo dove da anni vengono distribuiti cibo, vestiti e compagnia. Tutto iniziò quasi due decenni fa, quando tre amici dell’università hanno cominciato a distribuire cibo nella zona dello stadio Santiago Bernabeu. Le zuppe gliele preparavano le loro madri, il pane era del panificio del quartiere e un amico che aveva un supermercato dava gli affettati. A seconda che continuavano il loro operato, questo gruppo di giovani ha visto aumentare il numero dei suoi membri e sì trasferisce alla baraccopoli de Las Barranquillas. Poco dopo, hanno cominciato a ottenere cibo dal Banco Alimentare e grazie ad una piccola vincita alla lotteria cambiato il furgoncino che avevano con uno più grande, come ad assecondare la nuova traiettoria. E la storia continua: dopo diversi anni passati ad aiutare la gente della baraccopoli madrilena, i giovani si rimettono al volante del loro furgone per spostarsi dove operano oggigiorno: alla Cañada Real, Valdemingómez. Quando arrivi, il luogo ti impatta, soprattutto se ha piovuto. Il fango, le pozzanghere e il freddo si aggiungono al buio della notte. L’asfalto lascia il posto a strade sterrate e i lampioni per illuminare sono sostituiti dai falò, in un luogo dove l’illuminazione pubblica non arriva. La distribuzione avviene all’ingresso della baraccopoli, lontano dal gruppo di case, ma abbastanza vicino affinché le persone, che loro assistono, arrivino a piedi. Vicino al furgone usato per portare gli alimenti montano un tavolo. Per attenuare il disturbo della pioggia viene montata una tenda. Un paio di pallet di legno servono per fare un falò che dà luce e calore: gli ingredienti basici per creare un luogo di incontro dove iniziare una conversazione. Un leggero odore di fumo proveniente dal fuoco permea il luogo, mescolandosi con quello del cibo che i volontari preparato su di un piccolo fuoco da campeggio. Rapidamente cominciano ad arrivare i tossicodipendenti alla ricerca di riso, farina, uova e alcuni vestiti. La distribuzione è continua ed è condotta in una fila ordinata. L’apprezzamento di coloro che ricevono aiuti è evidente in un clima senza pregiudizio dove chiunque abbia bisogno di aiuto è il benvenuto. Spesso alcuni drogati si sorprendono che venga dato loro qualcosa senza aspettarsi nulla a cambio, e l’assenza di interessi materiali e l’affetto permeano il clima trasformando quello che è un paesaggio arido in un bel posto che funge da riparo, e, talvolta, anche diventa una fortezza dove asserragliarsi per uscire dalla dipendenza.
“Sono tornato a gustare nella vita dopo 10 anni nel tunnel della droga”
L’umanità e l’empatia con coloro che soffrono a causa della loro dipendenza dalla droga sono subito evidenti. Lo scopo è quello di creare, attraverso la compagnia e il dialogo, un’amicizia che aiuti a colmare il vuoto che queste sostanze arrivano a generano. Di fatto, nei 6 anni della presenza di Bocatas alla Cañada, vari sono riusciti ad uscire dalla droga, grazie anche all’aiuto e sostegno dell’organizzazione. Uno di questi è Jesús Granados –conosciuto come Sandokan– che è riuscito a reinserirsi per completo nella società. “Grazie a Bocatas sono tornato a gustare la vita, ho ripreso a a vivere di nuovo”. Dopo 10 anni da tossicodipendente è riuscito ad abbandonarla e a ripartire da zero. Oggi lavora in uno studio legale e collabora attivamente con l’ONG che tanto lo ha aiutato. “E ‘molto importante la compagnia, più che il cibo, perché ti fa sentire una persona. Riescono in questo perché vanno oltre al solo fatto di donare del cibo o dei vestiti: cercano un legame di amicizia, senza chiedere nulla in cambio, e questa generosità è contagiosa”. Tuttavia, lo scopo di Bocatas non è reintegrare i tossicodipendenti –come dicono gli stessi volontari– è un miracolo. L’obiettivo è di fare tutto il possibile per far fronte alla situazione traumatica in cui si trovano. Nelle parole di Sandokan, “È molto difficile uscire dalla droga, perché per riuscirci bisogna toccare il fondo, ed è molto difficile rialzarsi. La cosa più importante è abbandonare il pessimismo, afferrarti ai tuoi amici e alle persone che ti vogliono bene e riempire con attività sane il vuoto che da la droga. In questo, Bocatas aiuta molto. Quando la società vede che ne vuoi uscire, ti aiuterà”. D’altro lato, in molti casi l’esperienza di andare ogni venerdì per collaborare nella distribuzione del cibo e dei vestiti diventa parte integrante della vita dei volontari, e incontrano in questo compito una necessità. Come racconta Jesús –soprannominato Chules-, uno dei fondatori, “È una terapia per sé stessi, perché ti aiuta a relativizzare i problemi e vedi le preoccupazioni di tutti i giorni come qualcosa di banale, perché ti rendi conto che in realtà hai tutto”. Ci spiega che tutte le attività svolte sono fatte senza sovvenzioni o finanziamenti: “Il principio di base è quello di educare alla gratuità, che è una meravigliosa esperienza”. In conclusione, l’attività non è tanto il cibo, ma di stabilire un vincolo di amicizia con chi appartiene ad una cerchia sociale isolato. Il progetto non mira a sradicare la droga, ha la pretesa di essere un granello di sabbia e cercare di ascoltare le persone che si incontrano in situazioni destrutturate. Come la storia del piccolo colibrì, che mentre elefanti e rinoceronti fuggivano dalla giungla in fiamme, va al fiume e raccoglie una goccia d’acqua con il suo becco; quando gli viene chiesto se aveva intenzione di spegnere l’incendio con quella goccia risponde “Farò la mia parte”.